“Italia no, Italia forse”: queste quattro parole, proiettate su una parete della Classe delle scienze morali di Palazzo Corsini presso l’Accademia dei Lincei il 24 gennaio, hanno dominato la presentazione dell’omonimo volume che raccoglie interviste – realizzate da laureati del Collegio “Lamaro Pozzani” – a studiosi rientrati in Italia dagli USA. Oltre al curatore del testo, il Professor Stefano Semplici, erano presenti all’evento in qualità di relatori il Cavaliere del Lavoro Gian Luigi Tosato, il Presidente dell’INFN Fernando Ferroni e il Presidente di Iren, nonché ex-Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Francesco Profumo.
Dopo un breve saluto da parte di Vincenzo Catapano, Vicepresidente dell’Associazione Amici dell’Accademia dei Lincei, ha preso la parola il Professor Tosato, il quale ha evidenziato l’impegno della Federazione dei Cavalieri del Lavoro nella formazione, che trova particolare realizzazione nell’istituzione del Collegio Lamaro Pozzani, di cui il Professor Semplici è direttore scientifico. Quindi, si è soffermato sul tono di pessimismo che traspare dal titolo del volume. Non è difficile rendersi conto dei problemi legati al mondo universitario italiano; ciò nondimeno, grazie alle nuove generazioni si comincia a percepire una nuova aria di cambiamento.
“L’università italiana, con tutte le sue pecche, regge il confronto con gli altri paesi”. Con questa frase ha esordito il Professor Ferroni, sottolineando che i difetti stanno non tanto nella didattica, quanto nel servizio offerto. Tale notizia è positiva solo in apparenza: infatti, l’Italia è non solo incapace di creare le condizioni al contorno per accogliere e attirare ricercatori stranieri, ma anche di indurre a tornare gli italiani. Sono indicativi i dati circa gli ultimi grants di ricerca europei: sono 46 gli italiani vincitori (secondi solo ai tedeschi), di cui, però, appena 20 lavorano nel nostro paese.
È dunque intervenuto il Professor Profumo, il quale ha invitato a mutare le dimensioni della questione e a pensare non più alla “piccola” Italia, bensì all’Europa, che deve unirsi per affrontare i grandi competitors esterni. Tra i massimi problemi della nostra nazione si annoverano l’eccessiva burocratizzazione e la mancanza di mobilità, laddove altri paesi offrono più possibilità di cambiare, oltre che migliori prospettive future. Per rimettersi in moto bisogna “ripartire dalla fiducia”: quando i giovani e le imprese torneranno a riporre la propria fiducia nell’avvenire del paese e investiranno in esso, allora questo potrà riprendere a crescere.
Durante il dibattito, è intervenuto dal pubblico il Cavaliere Marco Borini, il quale ha rilevato l’importanza per i giovani di fare esperienza all’estero, salvo poi riportare in Italia il sapere ed il know-how acquisiti. Sì è rivolto ai relatori anche uno degli intervistati, il Professor Antonio Baldini, docente di biologia molecolare, il quale ha rimarcato la necessità di attrarre cervelli non solo italiani e di farli lavorare in Italia. È seguito un vivace dialogo tra il Presidente dell’INFN e Profumo, peraltro già presidente del CNR, sulle iniziative da intraprendere per migliorare il mondo della ricerca, sul ruolo dell’Italia in Europa e sulle modalità di impiego delle risorse disponibili: il primo ha paventato il rischio che l’Italia sia marginalizzata in un contesto europeo se non agisce bene ed ha sostenuto l’autonomia degli enti di ricerca; il secondo ha ribadito la capitale importanza dell’Unione e propugnato una razionalizzazione e centralizzazione delle agenzie. Nonostante tali divergenze, le loro opinioni hanno messo in luce un nucleo comune: se si vuole salvare il paese, è fondamentale agire.
“Attualmente v’è brain drain e non brain circulation” ha affermato il Professor Semplici nell’intervento conclusivo. Citando numerosi dati, il Presidente del Comitato internazionale di bioetica dell’UNESCO ha ritratto la complicata situazione del fenomeno infelicemente battezzato “fuga di cervelli”: i rientri sono pari solo al 40% del flusso in uscita e, mentre sono numerosi gli italiani che frequentano università nei paesi più ricchi, è una frazione degli studenti di tali nazioni ad iscriversi ai nostri atenei. La situazione è grave, ma la possibilità di ripartire esiste e gli ingredienti fondamentali possono essere riassunti in tre formule: la fiducia reciproca, la responsabilità e la passione per i giovani. Il Global Talent Index illustra che gli USA ed il Nord Europa brillano perché sono l’uno meritocratico e competitivo, l’altro attento ad investire risorse pubbliche nell’educazione in ogni sua fase: l’Italia non segue né l’una né l’altra strada.
È toccato, infine, al Cavalier Tosato chiudere con una nota positiva: oggi l’Italia, nonostante tutto, continua ad ottenere notevoli risultati e gode ancora di ampi margini di miglioramento per l’avvenire.
Un buon auspicio perché in futuro si possa scrivere Italia sì.