I 4,6 miliardi di vita della Terra sono costellati da grandi cambiamenti. Questi si sono ingenerati per motivi diversi e in parte ancora ignoti, ad esempio le grandi forze geofisiche come i vulcani e i terremoti o mutamenti nei cicli geochimici. La letteratura scientifica si è arricchita negli ultimi anni di prove a favore della tesi secondo cui l’uomo avrebbe raggiunto un potere paragonabile a questi fenomeni geologici nel modificare il sistema naturale. Ciò ha motivato l’introduzione del termine Antropocene, l’epoca geologica in cui l’uomo è diventato una delle grandi forze che possono cambiare il futuro del Sistema Terra, non ancora adottato ufficialmente dalla comunità scientifica, ma già ampiamente utilizzato.
La posizione privilegiata dell’umanità ci consegna però pesanti responsabilità, innanzitutto per la nostra autoconservazione. Infatti, lo sviluppo di Homo Sapiens, perdurato per tutto l’Olocene (gli ultimi 12.000 anni), è stato favorito dalle condizioni naturali, ma un futuro cambiamento potrebbe capovolgere repentinamente le nostre sorti: ad esempio, nel passaggio da Permiano a Triassico (250 milioni di anni fa) si sono estinte il 96% delle specie allora presenti.
La crescente consapevolezza dei rischi che oggi corre l’uomo ha reso sempre più discussa la sfida della sostenibilità. Tale termine, abusato, si sta però progressivamente svuotando di significato: da questa ammissione parte l’intervento di Gianfranco Bologna, presidente onorario della comunità scientifica di WWF Italia.
Per riscoprirne i lineamenti più significativi è utile richiamare alla memoria l’esperienza del Club di Roma, fondato nel 1968 da Aurelio Peccei e Alexander King. Tale gruppo ha unito fin da subito la volontà di agire per cambiare il paradigma economico della propria epoca con una forte consapevolezza della necessità di comprendere più profondamente la Terra: a tale scopo, ha sostenuto l’attività dell’innovativo gruppo di System Dynamics del MIT, commissionando un rapporto sui possibili scenari futuri, pubblicato col nome The Limits to Growth.
La lezione fondamentale di quel testo, la necessità di fare i conti con la limitatezza delle risorse naturali, non è però stata ancora applicata. I continui e sorprendenti progressi della tecnica sembrano spostare indefinitamente il problema: non esiste però tecnologia che non fondi il suo funzionamento su flussi di materia ed energia e che riesca dunque a sfuggire a questo vincolo.
Sono oggi ancora numerosi i tentativi di formalizzare i principi di un’organizzazione economica che riesca a risolvere definitivamente i dilemmi del rapporto tra essere umano e natura. Un esempio è quello della wellbeing economy (economia del benessere) che valuta anche elementi come l’interconnessione, la dignità, la partecipazione, l’equità e la natura e che vuole ricomporre la frattura tra economia ed ecologia.
Altra condizione necessaria per un’azione congiunta consapevole e informata è lo studio del Sistema Terra, riconoscendolo però nella sua complessità, non come una somma di un certo numero di parti, ma come una rete di interconnessioni, apparentemente impenetrabile, ma della cui almeno parziale comprensione noi umani potremo essere orgogliosi, se cambieremo il nostro atteggiamento verso la Terra, non rivoluzionandola con la forza dirompente di un terremoto, ma conducendola cautamente come un lieve vento in una giornata senza nuvole.