Quattro giorni, un territorio e un obiettivo: far toccare con mano a più di cinquanta tra ragazze e ragazzi l’esemplare modello di successo alla base di numerose imprese che popolano il territorio di Napoli e dintorni. Nasce così l’idea del Seminario sulle Economie Territoriali, organizzato dal Collegio Universitario “Lamaro – Pozzani” in stretta collaborazione col Gruppo del Mezzogiorno della Federazione Nazionale Cavalieri del Lavoro, che già dalla sua prima giornata ha visto i collegiali impegnati a visitare realtà imprenditoriali e scientifiche dalla rilevanza nazionale e internazionale.
Il primo giorno è stato inaugurato dalla visita al principale stabilimento produttivo di Riardo (CE) della Ferrarelle Società Benefit guidata dal Presidente del Gruppo del Mezzogiorno Carlo Pontecorvo, il quale ha accolto i collegiali introducendoli nell’universo della propria azienda con una attenta presentazione preliminare che, ricostruita la lunga storia aziendale (l’azienda nasce nel lontano 1893!) e l’attuale stato dei fatti del processo produttivo di canalizzazione e imbottigliamento delle acque, non ha mancato di analizzare con vivida lucidità temi oggi di primaria rilevanza socio-economica quali la lotta alla siccità, la riduzione dell’impatto ambientale dovuto alle materie plastiche (Ferrarelle è leader in tale settore grazie al lavoro di ricerca e lavorazione dell’R-PET svolto presso lo stabilimento di Presenzano) e la promozione della responsabilità sociale dell’impresa (ruolo cardine e indeclinabile per una società benefit). In seguito, dopo alcune domande dei collegiali, il Cav. Lav. Pontecorvo ha avuto il piacere di accompagnare personalmente i giovani nell’ esplorazione diretta dei laboratori per il controllo qualità e delle linee di imbottigliamento, offrendo la possibilità di seguire l’intero percorso che da un nucleo di plastica o da un anonimo contenitore in vetro porta alla bottiglia pronta e finita che è possibile trovare in supermercati e ristoranti in giro per il mondo.
Dopo una breve sosta presso l’incantevole azienda agricola Masseria delle Sorgenti – Ferrarelle, incastonata nel Parco Fonti di Riardo, la giornata è proseguita con la visita di un luogo dal duplice significato simbolico: il comprensorio industriale Olivetti di Pozzuoli (NA). L’ex stabilimento di produzione della casa di Ivrea è infatti testimonianza del sempre vivo legame tra il passato scritto da menti illuminate (e che è stato oggi possibile comprendere con dovizia di particolari grazie a luce e lenti offerte dal prof. arch. Andrea Maglio, associato di Storia dell’Architettura presso l’Università “Federico II” di Napoli) e il presente che tesse perpetuo il suo futuro. Il comprensorio industriale, progettato su intuizione di Adriano Olivetti dall’illustre ingegnere napoletano Luigi Cosenza (padre, tra le altre cose, della celebre Villa Oro di Posillipo) con l’obiettivo di fondere il paesaggio e l’elemento antropico che lo anima, ospita oggi realtà imprenditoriali e scientifiche di spicco. Tra queste, una posizione di preminente prestigio è occupata dal centro di ricerca TIGEM (Telethon Institute of Genetics and Medicine), successiva meta del seminario territoriale.
Una breve panoramica introduttiva sulle attività dell’Istituto ha preceduto la visita ai laboratori di ricerca durante la quale i collegiali hanno avuto modo di osservare da vicino il lavoro di équipe di ricercatori impegnati nella comprensione dei meccanismi molecolari che si celano dietro alcune rare patologie genetiche e nello sviluppo di terapie innovative. Le attività del centro, che gravitano intorno ai tre macro-temi della biologia della cellula, della medicina genomica e della terapia molecolare, non hanno potuto fare a meno di affascinare i ragazzi, grazie anche all’interazione con i ricercatori stessi presenti in loco.
Col sole ormai nascosto dai colli adagiati sul golfo di Napoli si è conclusa la prima giornata del seminario territoriale che, con tali premesse, non può che riservare ulteriori entusiasmi e sorprese.
“Concretezza”: a volte basta una parola per riassumere in modo esaustivo ciò che potrebbe essere argomentato in lunghe e complicate riflessioni, nelle quali chi scrive non vuole certamente addentrarsi. È proprio “concretezza” il termine che, implicitamente, fa da fil rouge in questa seconda giornata di full-immersion nel tessuto industriale campano, all’interno del ‘Seminario sulle economie territoriali di Napoli’.
Non neghiamolo, ciò che fin troppo spesso manca nella formazione di uno studente italiano è un confronto vis-à-vis con il mondo reale: quel riscontro empirico dei concetti teorici appresi attraverso lo studio, l’approfondimento, la dialettica e lo scambio con gli esperti; quel senso di appagamento che solo un utilizzo pratico e finalizzato delle proprie conoscenze può dare. In sostanza: un contatto diretto con il mondo del lavoro. Ecco che, grazie all’opportunità offertaci da realtà quali Hitachi Rail STS e Laminazione Sottile, oggi possiamo forse dire di aver aggiunto un importante tassello alla nostra formazione, rendendola sperabilmente più poliedrica e sfaccettata.
La giornata si apre infatti con la visita agli stabilimenti di un’impresa di eccellenza come Hitachi Rail STS: azienda leader nel settore ferroviario, nei sistemi di segnalamento e nelle correlate attività di Service & Maintenance, Hitachi vanta 11 stabilimenti produttivi al livello globale, oltre a offrire i propri prodotti e i propri servizi in ben 38 paesi. I numeri e le perifrasi, tuttavia, forse dicono poco di ciò che l’azienda rappresenta per il tessuto industriale globale, e nella fattispecie per quello italiano o ancor di più, per il comparto industriale del Meridione. In un mondo in cui i trasporti sono una pedina sempre più centrale nello scacchiere dello sviluppo sostenibile, Hitachi propone un modello di business orientato verso un nuovo modo di concepire la mobilità del futuro: una mobilità in cui il trasporto pubblico sia confortevole, efficiente e soprattutto sostenibile.
Al giorno d’oggi, nel frastuono generato dai recenti dibattiti circa la transizione verso una mobilità sempre più orientata verso l’impiego di autoveicoli e motoveicoli elettrici, sembriamo esserci focalizzati su una singola tessera di un mosaico ben più complesso. La piena riuscita della tanto agognata “transizione verde”, perlomeno nell’opinione di chi scrive, presenta un aspetto cruciale ma fin troppo spesso trascurato: l’opportunità di agire su più fronti, proponendo un ventaglio organico di soluzioni piuttosto che concentrarsi sull’esasperare singole monadi. Ecco perché Hitachi, proponendosi in tal senso come player che offre soluzioni alternative nel settore dei trasporti, amplia tale orizzonte di alternative e di opportunità.
Tuttavia, ciò che però più ci affascina in qualità di studenti, è lo statement che fin da subito i relatori aziendali, nella fattispecie il Chief Operating Officer Luca D’Aquila e il capo della business unit “Safety, Health, Envoironment, Quality” Ulderigo Zona, tengono a precisare: “Questa azienda ha bisogno di innovazione, di menti giovani e brillanti con cui dialogare e da cui imparare”. Queste parole hanno un valore profondo e sono emblema di uno dei fattori critici di successo di Hitachi, la capacità di valorizzare al massimo ogni occasione di scambio, ogni interazione con uno stakeholder, il tutto con un unico, grande fine: innovare.
Tale aspetto non passa inosservato tantomeno all’interno del percorso di visita degli stabilimenti produttivi proposto dall’azienda agli studenti. Dal reparto di produzione di componenti ferroviarie sino all’hub tramviario, passando per il reparto di gestione informatica dei sistemi di segnalamento, il minimo comune denominatore rimane pur sempre il seguente: grande attenzione alla componente tecnologica e personale giovane, motivato e soprattutto fortemente legato alla vision e alla mission aziendale.
Nel pomeriggio, invece, è Laminazione Sottile S.p.A. ad ospitare gli studenti del Lamaro Pozzani: leader nel settore della lavorazione e della laminazione dell’alluminio, l’azienda del Cav.Lav. Moschini vanterà quest’anno 100 anni di esperienza nel settore, nei quali il gruppo si è espanso arrivando ad inglobare in modo organico ben 9 realtà industriali.
In un’azienda che ha fatto del plasmare e modellare l’alluminio la propria essenza, oltre che un motivo di vanto a livello globale, la plasticità e la malleabilità sono stati e tutt’oggi sono linfa vitale per lo sviluppo di questo gruppo. In tale ottica non sorprende vedere quanto l’AD Massimo Moschini e il Senior Advisor R&D Ciro Sinagra sottolineino l’importanza di utilizzare le proprie conoscenze e il proprio know-how in modo creativo, plastico, adattandole alle criticità che si presentano di fronte ad ogni processo produttivo. E’ questo il cuore pulsante dell’innovazione.
Suonano quasi come un inno alla creatività e alla ricerca le parole di Sinagra, quando riferendosi ai suoi più recenti brevetti racconta: “Il più grande inventore è il Padre Eterno, io ho solamente copiato da lui”.
Spazio infine ad aspetti più culturali, con la visita serale del centro storico della città partenopea visitando le stazioni dell’arte della metropolitana urbana (nella fattispecie le stazioni Toledo, Municipio e Università): un percorso alla scoperta di un complesso di hub che, nel suo insieme, non solo si presenta organico ma riesce anche a immergersi completamente nella storia e nell’effervescenza che da sempre hanno caratterizzato la città di Napoli.
Tirando le somme di una giornata sicuramente ricca di impegni, ciò che portiamo a casa da questa esperienza è sicuramente essenziale, non solo sul piano formativo, bensì anche al livello umano. L’essere entrati in contatto con personalità, ambienti e imprese così dinamiche è sicuramente un grande benefit alla nostra formazione personale.
Nel teatro della città dai mille colori, si apre il sipario sul terzo giorno di seminario territoriale che ha per protagoniste le realtà imprenditoriali campane di maggior prestigio. Cinquantasette ragazzi sono partiti alla scoperta dell’altro lato del sud Italia, quello dei trascinatori sociali e delle storie a lieto fine. La Campania non è solo – com’è noto – la madre benigna che alleva aziende come Materias o Seda, ma anche un’anziana signora che porge la mela con la mano destra. Una mela marcia per metà: sta a chi la riceve capire da quale lato addentarla. L’ha senz’altro capito Luigi Nicolais, il cui intervento scandisce il suono della campanella d’inizio della giornata.
MATERIAS: DARE FORMA ALL’INNOVAZIONE
Nella sede di San Giovanni a Teduccio dell’Università Federico II di Napoli, il fondatore di Materias carica i ragazzi su di un treno panoramico alla scoperta dei paesaggi dell’innovazione. Parte dalla descrizione delle rotaie: “alla base del processo innovativo – dice – c’è il passaggio epocale da un’economia reale a un’economia basata sulla conoscenza, il cui capitale d’intangibile entità è il cosiddetto know-how”. Ieri vendevamo prodotti, oggi vendiamo un pacchetto di abilità e saperi che hanno soltanto come fine ultimo la materializzazione. E fu così che, dove c’era una grande via, si sviluppò un bivio. A destra, il cammino del ricercatore, incaricato di spostare la frontiera della conoscenza, indagarla e trarne idee pionieristiche; a sinistra la buona vecchia innovazione, ma nella versione 2.0, quella che si occupa pur sempre della realizzazione del prodotto finito, nel bacino della ricerca applicata, ma a partire da una ricerca pura che non le compete e addirittura la anticipa, le dà sostanza e direzione. Persino le istituzioni italiane, spesso sorde agli schiamazzi del cambiamento, hanno assorbito nel PNRR questa biforcazione: il contributo finanziario da devolvere al campo dell’innovazione va sotto il titolo From research to business. Insomma, dal progetto alla casa, dalla redazione alla pubblicazione, dai contorni neri ai colori entro i bordi. Avete presente lo spot non vendiamo sogni, ma solide realtà? Ecco, Materias, al contrario, compra dapprima sogni, e poi cerca un modo per dar loro solidità. In accordo col ricercatore, infatti, l’azienda testa l’idea innovativa e ne verifica attuabilità e possibilità di assorbimento da parte del mercato. Se funziona, si passa alla delicata fase di licenza del brevetto. Materias supervisiona il processo e copre le spalle al ricercatore, finché non si raggiunge la vetta.
CREATIVI A “MUSO DURO”, APPLE ACADEMY
La knowledge Innovation di cui si occupa l’azienda del professore Luigi Nicolais si contrappone alla digital Innovation propria del Centro di Sviluppo App iOS della Apple, seconda realtà aziendale protagonista della fascia mattutina. L’architetto e developer Francesco Dell’Aglio ha diretto il treno di Nicolais in territori internazionali, in cui la giurisdizione non è più del singolo, ma dell’intera comunità. “In Apple – racconta Dell’Aglio – lo spazio della comunità foraggia emozionalmente il processo formativo”. È per questo che gli spazi dell’azienda, pennellati di vivide tinte, sono pensati per accogliere arcipelaghi di professionisti, mai isole solitarie. Punto focale della vision aziendale è il learning by doing, approccio compatibile con la mutevolezza del mondo lavorativo di riferimento che scardina il processo di acquisizione delle conoscenze teoriche e passa alla desunzione di esse dall’esperienza sul campo. Un guarda e impara senza distinzione di fase o, più propriamente, un tuffo in piscina senza saper nuotare. Le sfide, dunque, in Apple, sono all’ordine del giorno e vanno affrontate come Pierangelo Bertoli diceva di fare con la vita, nel 1979: a muso duro.
SOLUZIONI PIONERISTICHE E QUALITÀ ASSOLUTA: I PRIMATI DI SEDA
Col racconto dell’interruzione elettrica causata dal cavo tranciato, il Cavaliere del Lavoro Antonio D’Amato accoglie i collegiali in visita presso la sua azienda, la Seda International Packaging Group S.p.a. È un dettaglio questo che, di pancia, giudicheremmo trascurabile; invece apre ad un modo nuovo di concepire le problematiche delle infrastrutture del territorio. “Questo – dice D’Amato – non è un inconveniente solo meridionale, è accaduto anche all’aeroporto di Francoforte, proprio in mia presenza, poco tempo fa!”. Insomma, siate pure critici nei confronti del meridione, ma attenzione a non cadere nelle maglie del racconto di un sud arretrato. Sarebbe troppo semplicistico, davvero troppo.
Paradigma d’eccellenza campana è l’azienda del Cavaliere D’Amato, ereditata dalle mani del padre Salvatore. Quest’ultimo entrò nel mercato del packaging quando il cuore dell’icecream processing pulsava ancora in Italia e seguì pioneristicamente gli avanzamenti dell’industria alimentare, per battere sul tempo i concorrenti e proporre la più tempestiva soluzione d’imballaggio. Lo spirito imprenditoriale del fondatore e di suo figlio, suo degno successore, hanno consacrato Seda leader di mercato nell’icecream packaging e nel food service packaging. L’incontro familiare e lavorativo di papà Salvatore e Antonio è il segreto del successo dell’azienda, la fonte cui attingere dinanzi a ogni Aut-Aut kierkegaardiano, per apporre la spunta in corrispondenza dell’alternativa giusta. È andata così quando la Seda si è interrogata in merito alla scelta del materiale del futuro su cui investire. Plastica o carta? Da un lato, la scelta innovativa che stava spopolando, dall’altro, una frontiera ancora da scoprire. D’Amato racconta, con estrema naturalezza, “noi non sentivamo per la plastica lo stesso tipo di emozione che sentivamo per la carta, dunque abbiamo scelto di investire sulla seconda”. Una presa di posizione che, dal 1973, anno della crisi petrolifera, ha acquisito sempre più i contorni di una scelta razionale e visionaria e ha consegnato l’azienda a un futuro radioso.
Emozionarsi per dare direzione ai propri sogni: non esiste modo più nobile per investire un capitale. Passeggiando tra le attrezzature all’avanguardia dell’azienda, si prende consapevolezza dell’importanza di ogni segmento produttivo, di ogni “tuta blu che – afferma il Cavaliere – realizza il lavoro ed è protagonista della qualità”. La qualità non è un processo top-down, ma nasce dal senso di responsabilità e partecipazione di ciascun lavoratore. Come una stacking tower, l’organico dell’azienda è diviso in mattoncini uguali per dimensione e diversi per colore, tutti essenziali affinché la torre resti in piedi. D’altronde il lavoro, così come la vita, è questione d’equilibrio: bisogna saper bilanciare le proprie scelte, per non dare alla torre motivo di cadere.
La Seda pone il focus su “sicurezza ambientale, impatto ambientale e sostenibilità”. Rispettare l’ambiente è un dovere morale, innanzitutto, ma risponde anche a un elementare principio di autotutela capitalistica. Infatti – dice D’Amato – “chiunque voglia continuare a produrre oggetti in carta si preoccupa che ci siano alimentazioni di materie prime adeguate”. Sarà per questo che, per ogni albero abbattuto, se ne piantano da tre a cinque? Probabilmente. Per quanto se ne dica, questa politica è un toccasana per le ferite del pianeta e la Seda è fiera di affermarlo. Le parole del Cavaliere sono giunte forti e chiare agli interlocutori che – divisi in tre squadre policromatiche – ne hanno toccato con mano la perfetta realizzazione. Seda è coerenza, passione, sostenibilità, progresso.
L’INCONTRO ALL’UNIONE INDUSTRIALI DI NAPOLI
Queste parole compongono, legate l’una all’altra per le estremità, un fil rouge nelle storie di successo. Lo testimoniano le aziende dei Cavalieri del Lavoro Armando Enzo De Matteis, Mario Magaldi, Nicola Giorgio Pino, Giovanni Russo, introdotti dai Cavalieri Teresa Naldi (Vice Presidente del Gruppo del Mezzogiorno) e Costanzo Jannotti Pecci (Presidente Unione Industriali Napoli) e dal Coordinatore del Comitato Scientifico del Collegio Sebastiano Maffettone. Nella sala Salvatore D’Amato – proprio quel Salvatore D’Amato – del Palazzo Partanna, si è tenuto un seminario intitolato La realtà produttiva del Mezzogiorno nel contesto nazionale, degna chiusa della terza giornata di lavori. In quella che la dottoressa Naldi ha definito “la casa delle imprese e degli imprenditori”, i collegiali sono venuti a diretto contatto col motore trainante del Mezzogiorno. Il blu, il rosso e il bianco del gonfalone della Campania sono ravvivati dall’esempio dei Cavalieri del Mezzogiorno: De Matteis Agroalimentare, Magaldi Power, Proma, Russo di Casandrino sono esempi di eccellenze territoriali, storie di coraggio e di imprenditori del Sud che sono rimasti al Sud e hanno investito sulla propria terra.
In apertura, Pecci ricordava che fare l’imprenditore e fare l’imprenditore al Sud sono due cose diverse. Alla luce di questo, un grande plauso va ai Cavalieri del Gruppo del Mezzogiorno e alle loro realtà imprenditoriali, messe in piedi con venti milioni di lire – come raccontava Pino – tenute insieme da quattro generazioni – come la Russo di Casandrino –, ereditate dal padre e fondatore – come la De Matteis da papà Alberto –, destinate a essere guidate da inventori– come la famiglia Magaldi. Davanti ai ragazzi, ci sono gli attori del presente; di fronte ai Cavalieri del Lavoro, gli interpreti del futuro. Il seminario ha consacrato il futuro passaggio del testimone tra le due schiere, nella speranza che i protagonisti della seconda frazione saranno all’altezza di quelli della prima.
La fine della giornata, annunciata dalle mani che battono tra loro in segno di ammirazione, si è consumata in un Palazzo imperiale che si getta su di una Napoli tanto demonizzata quanto temuta. Il napoletano nato a Bologna e rinato a Napoli Lucio Dalla, in un’intervista del 2008, dichiarava “Io non posso fare a meno, almeno due o tre volte al giorno, di sognare di essere a Napoli. Sono dodici anni che studio tre ore alla settimana il napoletano, perché se ci fosse una puntura da fare intramuscolo, con dentro il napoletano, tutto il napoletano, che costasse duecentomila euro, io me la farei. Per poter parlare e ragionare come ragionano loro da millenni”. C’è chi è nato qui, c’è chi avrebbe voluto nascere qui, c’è chi mai ci vivrebbe, c’è chi continuerà a demonizzarla. Poco conta, perché Partenope parla da sé a chi vuole intendere e a chi si ostina a non farlo. Cara Napoli, ricomincia da tre: magari scudetti, chissà.
Si narra che Virgilio, trovato l’uovo deposto dalla sirena Partenope, lo racchiuse in una gabbia in ferro e lo nascose nei sotterranei del Castel Marino, rinominato dell’Ovo.
Secondo la leggenda, al rompersi del suo fragile guscio, sorti nefaste si sarebbero scagliate su Napoli e su tutte le città che la circondano. È quindi proprio dal destino del prodigioso uovo che dipendono quelle della bella Partenope.
Sono stati necessari tre giorni in prossimità proprio del cruciale castello a farci sollevare il velo esoterico del mito e iniziare a comprendere invece come non è in una gabbia in ferro che si conserva il futuro di Napoli o del Meridione, quanto al di fuori, nelle persone e nei posti capaci di difenderne i valori. Nell’ultimo giorno della nostra trasferta, piuttosto che celebrare il presente, siamo invece invitati a respirare e conoscere grandi gesta di uomini del passato che hanno dato avvio ad una tradizione di eccellenza di cui tutt’ora osserviamo i risultati. Per incontrare il primo degli esempi è sufficiente percorrere il viale principale della Villa Comunale, dove inizia la nostra visita alla Stazione Zoologica Nazionale Anton Dohrn.
DOHRN, IL DARWINISTA CHE CREÒ IL PRIMO ACQUARIO SCIENTIFICO D’EUROPA
Nel 1872 lo zoologo tedesco pensa bene di introdurre una piccola rivoluzione a pochi passi dalla riviera: una stazione di ricerca marina con annesso un acquario, perfettamente attrezzati ad accogliere ogni scienziato o ricercatore, proveniente da ogni parte del mondo, interessato a condurvi i suoi studi.
La sala d’ingresso, resa scenografica dal gioco di differenti luminosità e colori delle oltre duecento specie che ospita, dà inizio ad una doppia narrazione della storia del museo e dei campioni che vi ospita.
La sequenza di sale si proietta coerentemente con l’intento dello stesso Dohrn: fornire al pubblico una spiegazione più fruibile dell’evoluzione teorizzata da Darwin, suo maestro e amico. Nel complesso la visita si svolge nell’autonomia e il silenzio necessari ad apprezzare la scoperta: pur ricevendo indicazioni che ci consentono di apprezzare il museo annesso, è con passo carico di aspettativa e curiosità assieme che ci muoviamo nell’esplorazione fino a giungere al salone finale.
La più grande raccolta di reperti del mar Mediterraneo si erge immensa su scaffali che a stento sono capaci di contenerla. Si descrive da sola: terrificanti e affascinanti piccoli recipienti in vetro conservano gli stessi corpi analizzati decenni prima in distese di asettico cloroformio. Corpi esanimi si trasformano nelle storie di chi li ha osservati e dato loro una spiegazione, un nome.
MUSEO ARCHEOLOGICO, QUATTRO EPOCHE IN UNO SCRIGNO
Se Napoli, città con tremila anni di storia, è l’incontro di dimensioni opposte, quale greco e romano, sacro e profano, salda tradizione e impellente evoluzione, il Museo Archeologico Nazionale, in cui ci dirigiamo subito dopo, è una straordinaria sintesi di queste sovrapposizioni.
Incastonate nell’imponente Palazzo degli Studi, oltre centoquaranta sale espositive dal valore archeologico e artistico inestimabile raccolgono reperti di ogni genere, che spaziano dalla narrazione storica all’arte medievale. Ci lasciamo guidare per le sue principali collezioni, quella Farnese, perla del Rinascimento e dono della famiglia dei Borboni, e la collezione Vesuviana, in cui sono raccolti quasi tutti i ritrovamenti degli scavi di Pompei.
È interessante la contrapposizione fra le due esposizioni: se nella prima si ha modo di apprezzare il talento di uomini che hanno posto la A alla parola Arte, immortalati non senza fatica e studio nei loro capolavori, nella seconda si osserva un genere di splendore dal gusto amaro: negli scavi di Pompei viene conservata la più tragica, e forse per questo affascinante, delle collezioni. A tenerci immobili al cospetto dei calchi o dei mosaici o dei più semplici gingilli domestici è il calore latente di corpi immolati senza preavviso, opere d’arte involontarie, spogliate del tempo e per questo eterne.
CAPODIMONTE, COLTIVARE BELLEZZA
Prima ancora di essere accolti nella successiva, nonché ultima, meta del nostro viaggio, ho modo di leggere un cartello sull’ingresso: “Coltiviamo la bellezza”, recita. Ci troviamo a Capodimonte e nel suo Real Bosco e la sensazione, prima ancora di rifletterci troppo, è che qui la bellezza sia per davvero coltivata.
Lo spirito carico delle nozioni del mattino non è pronto a ricevere nulla che non sia genuina bellezza e ci lasciamo deliziare da una passeggiata nel parco che circonda la Reggia. Ci perdiamo nella scoperta della flora del parco, i suoi tipi di palme, il verde rigoglioso.
Il frenetico delirio delle grandi metropoli rende troppo semplice dimenticarsi la sensazione del sole sulla pelle o lo stupore nel guardare le foglie confondersi. Satolli di una Napoli ancora nuova e comunque grandiosa, ci perdiamo per le sale della Reggia, ex residenza dei Borbone e del ramo cadetto dei Savoia. Il gusto sopraffine per i dettagli, già apprezzato al mattino, prosegue nelle decorazioni dei soffitti e negli immacolati salotti. Dopo aver avuto modo di osservare l’arte fiamminga ne “La parabola dei ciechi” di Bruegel e rimanere incantati dall’infinita dolcezza della “Madonna col Bambino” del Perugino o dalla grazia della “Danae” di Tiziano, veniamo introdotti in quella che sarà nominata “Galleria delle cose rare”, una raccolta di oggetti dai bizzarri scopo e aspetto.
La percezione finale è però di sbagliare, sottostimare. Ci si sente quasi costretti a estendere di chilometri e chilometri il perimetro di quella modesta sala, all’intera Reggia, o, banalmente, all’intera città.
Una immensa cosa rara.
Perché un giorno l’uovo sarà rotto, decomposto o semplicemente dimenticato, ma dubito Napoli conoscerà rovina. Sarà invece capace di andare avanti, con e grazie alle immense imprese e persone che la descrivono. Abbiamo incontrato uomini che, mossi dalla sola fiducia nelle loro idee, sono in grado oggi di raccontarci storie cariche di speranza e difficoltà, storie ancestrali o estremamente giovani che ci hanno stupito e affascinato. In queste storie non vi sono sirene e nemmeno uova miracolose, non ci sono strofe e nemmeno eclatanti dichiarazioni d’amore, eppure rimangono storie che ci sentiamo onorati di ascoltare, raccontare e, chi lo sa, un domani, scrivere.