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L’Occidente “in trappola”: l’Europa allo specchio della storia con Franco Bernabè

di Mattia La Tona

Sarà vero che l’Occidente non ha più ragioni per guardare al futuro con ottimismo? Un mondo multipolare, crescentemente ostile ai valori liberaldemocratici ed economicamente instabile sembra validare quel senso di profondo risentimento e terrore di fronte a un domani incerto che colpisce le masse dei paesi occidentali. L’Occidente è davvero “in trappola”? Le riflessioni su questo tema sono state numerose e rilevanti lo scorso 20 novembre 2024, presso il Collegio “Lamaro Pozzani”, dove è stato presentato In trappola, il libro-intervista opportunamente titolato del Cavaliere del Lavoro Franco Bernabè, dirigente d’azienda, già amministratore delegato di ENI e Telecom Italia. Il libro fornisce un’analisi lucida e circostanziata delle questioni profonde che hanno portato alla progressiva marginalizzazione dell’Occidente, ma soprattutto dell’Europa, sul palcoscenico internazionale.
Per trarre delle ragionevoli conclusioni sulla corrente situazione del Vecchio Continente, il cavaliere Bernabè ha aperto la sua riflessione osservando il mondo post-URSS, il mondo della “fine della storia”, nella lettura di Fukuyama. In particolare, si è reso palese come la fine della storia non sia giunta affatto: la fine della Guerra Fredda ha semplicemente segnato una nuova, instabile fase della storia. Si è fatto riferimento all’amministrazione Clinton, che proprio in virtù di questa concezione estremamente ottimistica del futuro ha applicato una serie di riforme che hanno essenzialmente distrutto l’apparato economico che aveva permesso all’Occidente di emergere vincitore nella Guerra Fredda. Tra le tante, l’apertura al commercio privo di dazi verso la Cina, che si riteneva potesse essere “democratizzata” dal contatto con il mercato libero, ma che si è in realtà rivelata una corazzata formidabile dal punto di vista manifatturiero, riuscendo a sopraffare le regioni storicamente più industrializzate dell’Occidente, come l’odierna “Rust Belt” statunitense, senza però mutare affatto il proprio assetto politico. Da questo è conseguita la crisi sociale dell’Occidente, che in tempi estremamente rapidi si è ritrovato a fare i conti con uno standard di vita in declino e un estremo risentimento delle classi medie, il quale ha portato alla nascita di populismi, specie di destra, che hanno messo in ginocchio l’apparato democratico statunitense ed europeo. L’Europa unita si è rivelata peraltro estremamente fragile, guidata da una Germania che Bernabè, citando Kissinger, ha definito “[…] troppo grande per l’Europa, troppo piccola per il mondo”. Mentre la Cina, monolitica per volere del suo governo ma non per natura, ha proceduto dando priorità all’efficacia economica, l’Europa è rimasta cristallizzata nel formalismo e imbrigliata nell’esprimere il suo potenziale produttivo ed economico nella sua totalità.

Al termine di questa introduzione, sono intervenuti due studenti del Collegio “Lamaro Pozzani”, Giovanni Luca Palombella e Francesco Minola, che hanno posto due quesiti al Cavalier Bernabè, rispettivamente sul ruolo dell’Unione Europea e su quanto di autoinflitto ci sia nello stato di minorità dell’UE e sull’estrema debolezza italiana nella creazione di un apparato di medie imprese che riescano ad essere propulsive dello sviluppo del paese. In generale, Bernabè identifica nella debolezza degli apparati politici sia dell’UE che dell’Italia questa situazione: l’UE è troppo frammentaria e burocratica per dare un reale impulso alla crescita, e la classe politica italiana si concentra troppo sul difendere i propri interessi a breve termine per incentivare la nascita di imprese di medie dimensioni. In chiusura, il professor Sebastiano Maffettone ha ripreso alcune delle argomentazioni del Cavaliere e ha presentato alcune obiezioni all’idea precedentemente proposta che la libertà abbia cessato di essere una priorità per gli occidentali. Bernabè, in risposta, ha sottolineato come l’amore per la libertà non sia, a suo avviso, un valore universalmente condiviso in Occidente, ma bensì un valore a cui le masse sono disposte a rinunciare, se la difesa di esso comporta una compromissione del loro benessere materiale.