Al classico impazziva per il greco, ma non trascorreva tutto il suo tempo sul Rocci. Rappresentante d’istituto per rivendicare i diritti degli studenti, la pallavolo per tenersi in forma, un po’ di pianoforte per ingentilire l’animo e ore e ore di volontariato sulle ambulanze della Croce Bianca per scoprire che la medicina sarebbe diventata la sua professione.
Resistente come il marmo di Carrara, dove è nata e cresciuta, la borsista del Collegio universitario “Lamaro Pozzani” Claudia Fede Spicchiale è oggi observer student ad Harvard, presso il laboratorio di Pier Paolo Peruzzi, instructor di Neurochirurgia ed ex studente del Collegio dei Cavalieri del Lavoro. Ed è lì, a Boston, che sta preparando la sua tesi di laurea: un lavoro sulle terapie sperimentali per la cura del glioblastoma multiforme, il più letale dei tumori cerebrali.
Claudia, come è riuscita a mettere piede ad Harvard?
“L’opportunità si è presentata al Collegio, che mi ospita da quando sono iscritta all’Università di Tor Vergata. Il direttore Stefano Semplici ci ha parlato dell’invito rivolto dal dottor Peruzzi, che noi già conoscevamo per fama, agli studenti dell’ultimo anno di Medicina a trascorrere un periodo di studio nel suo laboratorio nella prestigiosa Harvard e a seguirli nel lavoro di tesi. Non me lo sono fatta ripetere due volte: ho contattato Peruzzi, mi sono fatta dare il via libera dal mio relatore, il prof Roselli, a maggio sono partita ed ora eccomi qui a Boston per tre mesi”.
Come si svolge la giornata di una observer student del “Peruzzi team”?
“La mia è un’esperienza fatta tutta di laboratorio e ricerca, niente clinica ospedaliera, non vado in reparto. Seguo come un’ombra i ragazzi del laboratorio nei loro esperimenti e nelle loro ricerche. In più, partecipo ai lab meeting settimanali e al journal club del gruppo dove, a rotazione, si presenta un paper per valutarne approcci e risultati. E ovviamente mi dedico tutti i giorni anche alla mia tesi di laurea che tratta del più letale dei tumori del cervello. Da quando ho dato Patologia Generale, ho sempre avuto un forte interesse per i tumori. Quelli cerebrali, poi, coniugano il mio interesse per l’oncologia con quello per la neurologia, che è sicuramente una branca molto affascinante”.
Che aria si respira nel “tempio della ricerca”?
“Quando sono arrivata, temevo di trovare gente snob che mi avrebbe messo in soggezione. Fortunatamente mi sbagliavo di grosso: i miei colleghi sono persone molto competenti e anche molto simpatiche. Ci frequentiamo anche fuori dell’orario di lavoro. Del resto, tra i ricercatori c’è un ricambio altissimo. E’ gente abituata a cambiare spesso ambiente lavorativo, cosa che reputo assolutamente necessaria per crescere professionalmente. E poi c’è Boston, che è una città internazionale nel vero senso della parola: così piccola rispetto a Roma, conta più di cento università e due dei più importanti centri di ricerca al mondo, Harvard e il MIT. Insomma, è un ambiente davvero stimolante che ti spinge a dare sempre di più. E, cosa non marginale, qui la ricerca non ha problemi di budget e gli ambienti di lavoro sono quindi piuttosto rilassati. Per quanto riguarda le mie spese, devo ringraziare anche in questo caso il Collegio: gran parte dei costi del mio soggiorno a Boston vengono coperti dagli incentivi messi a disposizione dal Cavaliere del Lavoro Valter Mainetti che, con le sue Borse Sorgente, sostiene le esperienze di tirocinio e studio all’estero per noi collegiali”.
I tre mesi a Boston stanno per concludersi. Cosa l’aspetta in Italia?
“Conto di dare l’ultimo esame a settembre e, se tutto va bene, di laurearmi nella sessione di ottobre. Mi abiliterò in Italia, poi si vedrà. Non ho ancora deciso se fare il salto oltre Oceano o restare in Europa. Anche l’Europa offre molte possibilità. Ho un debole per la Germania. In Baviera, a Ratisbona, ho fatto l’Erasmus. Qui ho conosciuto da vicino la realtà ospedaliera tedesca, che per un giovane medico è oggi molto allettante”.