Di carcere «non se ne parla mai abbastanza», così il professor Giovanni Maria Flick apre il nuovo ciclo di incontri serali dedicato alla situazione delle carceri in Italia, presso il Collegio “Lamaro – Pozzani”. Giurista e politico italiano, Ministro di Grazia e Giustizia nel governo Prodi I e Presidente della Corte Costituzionale, il professor Flick si è presentato alle studentesse e agli studenti con un discorso lucido e disincantato sull’attuale condizione delle carceri in Italia, nel quale non ha nascosto una vena di pessimismo.
La serata ha preso avvio con l’analisi di due concetti chiave per la comprensione del tema: l’ergastolo e la detenzione temporanea, rispetto ai quali ha mostrato le «contraddizioni che si inanellano l’una nell’altra, nell’approccio di diritto e di fatto». Se infatti il primo si presenta come una realtà illegittima de iure (in virtù del principio costituzionale della funzione rieducativa della pena), che diviene legittima di fatto grazie alla possibilità di godere progressivamente di permessi premio, semilibertà e liberazione condizionale in caso di buona condotta e poi di pentimento, nel caso della detenzione temporanea invece si parla di una circostanza prevista de iure, la quale però viene troppo spesso scontata in condizioni che non garantiscono il rispetto della dignità umana, rendendolo così di fatto illegittima. A seguito di un rapido passaggio sull’ergastolo ostativo, poi, l’attenzione si è poi spostata sulla problematica tristemente nota del sovraffollamento delle carceri, conseguente – a detta del noto giurista – di un atteggiamento panpenalistico, unito alla sensibile riduzione del numero di amnistie concesse, prassi un tempo molto più frequente.
Una lieve vena di ottimismo viene lasciata trasparire in relazione alla pratica inaugurata dai giudici della Corte costituzionale di girare sistematicamente per le carceri d’Italia. Questo infatti – afferma il professor Flick – è l’unico modo per prendere realmente coscienza della condizione in cui versano oggi i luoghi di detenzione in Italia. La situazione, aggiunge, va letta entro le direttrici di tre componenti fondamentali che vanno prese in considerazione: le relazioni umane interpersonali, la dimensione temporale e la dimensione spaziale.
Ma è un altro il fuoco dell’intervento: il ruolo rieducativo del carcere, punto particolarmente caro all’ex magistrato. Alla luce di un dato drammatico, il 70% di chi sconta una pena in carcere si rivela recidivo, il noto penalista rinuncia a qualunque velo di ipocrisia e si domanda se realmente il carcere sia ancora la soluzione migliore oggi a nostra disposizione. Esiste infatti un paradosso insito al concetto stesso di carcere che Flick non ha reticenza nel sottolineare: al fine di rieducare una persona alla vita in società, la si isola da quella stessa società, spesso per parti considerevoli del periodo rieducativo. Esistono dunque metodi alternativi? La risposta sembrerebbe propendere per una soluzione positiva, nonostante il numero non ancora preponderante di casi in cui questi vengono oggi messi in pratica. La semilibertà, lo svolgimento di lavori socialmente utili, l’utilizzo delle pene accessorie come pene principali (come l’interdizione perpetua dall’esercizio della professione nell’ambito della quale si siano commessi reati) così come la giustizia riparativa, già in nuce introdotta dalle riforme portate avanti dalla ministra Cartabia durante il governo Draghi, sono alcuni degli accorgimenti indicati dal professore.
È dunque necessario, conclude l’ospite, tornare ad approfondire la galassia della “cultura della pena”, così da non smettere di interrogarsi sull’effettiva validità del binomio rieducazione – limiti rispetto alla dignità umana, facendone un discorso serio e pragmatico, che non sfoci nell’insana polarizzazione carcere mite o carcere duro.