Per il ciclo di incontri “Scenari e mutamenti geopolitici globali”, il Collegio ha ospitato Leonardo Morlino, professore emerito di Scienza Politiche presso l’Università LUISS, nonché uno dei maggiori esperti al livello internazionale di processi di democratizzazione.
Il fil rouge dell’incontro “Il problema della democrazia” sta nel raffronto tra i grandi casi di crisi democratica che il Novecento e il nostro tempo hanno da offrirci e più in generale tra le visioni alternative alla democrazia: fascismo, nazismo e franchismo negli anni Venti e Trenta, il golpe brasiliano nel 1964 e quello cileno nel 1973, ma anche la proposta corporativa-autoritaria di Salazar in Portogallo e i regimi ibridi dei nostri giorni.
A partire dagli esempi del secolo scorso Morlino fa emergere la presenza costante di due caratteristiche salienti: il passaggio da polarizzazione a radicalizzazione e la politicizzazione dei poteri neutrali. La prima consiste nell’estremizzare una forma di bipolarismo non strutturale attraverso la presenza di milizie, come possono essere le camicie nere in Italia o quelle brune in Germania. Ma è la seconda che fa virare nettamente in direzione opposta alla democrazia: parti di esercito e magistratura si spostano verso Hitler e Mussolini, come anche Hindenburg o il re Vittorio Emanuele III.
Ma la seconda guerra mondiale smentisce le visioni di nazismo e fascismo, benché Italia e Germania, specialmente all’interno dell’amministrazione, restino in larga parte influenzate nella mentalità dalle passate ideologie fino agli anni Cinquanta inoltrati. E’ invece tra gli anni Settanta e gli Ottanta che si esauriscono le esperienze di Brasile (che contiene in sé il germe della propria estinzione), Cile e Portogallo. È il fallimento delle visioni alternative alla democrazia, quella che Francis Fukuyama chiama “fine della Storia”.
La scelta dicotomica, dunque, non è più tra democrazia e autoritarismo (in qualunque sua forma: corporativismo autoritario, tecnocrazia autoritaria, ecc.), ma tra democrazia e un altro oggetto non ben definito, vagamente simile all’autoritarismo. La democrazia nel frattempo, a partire dal secondo dopoguerra e dall’esempio del Regno Unito e dei paesi scandinavi, ha sviluppato una sua visione che ha la sua formulazione intrecciata con l’economia di intervento, secondo gli insegnamenti di Keynes, e con la garanzia dei diritti sociali.
È negli anni ’90 che iniziamo a vedere un deterioramento di questo modello, che prosegue nel nostro secolo. I casi presi in esame, in questo caso, sono la Polonia e l’Ungheria, ormai regimi ibridi e non pienamente democratici. In questo caso, le caratteristiche sono, ad esempio, il controllo governativo della comunicazione, debolezza della rule of law, la corruzione diffusa e una mancanza di “inter-institutional accountability”, ossia il venir meno di un sistema di check and balances che imponga ad ognuno dei poteri dello stato di rendere conto l’uno agli altri e ai cittadini del proprio operato. In particolare si assiste a un indebolimento o assoggettamento della corte suprema, dei poteri locali e dei media, sotto la facciata filosofica delle “mani libere” per il buon governo del Paese. Va notato che in questi stessi Stati in cui troviamo regimi ibridi il processo di autocratizzazione trova terreno fertile nel percorso istituzionale pregresso di quel popolo, proliferando laddove incontri una tradizione di scarso rispetto della rule of law e una bassa propensione dei cittadini a mobilitarsi.
In parallelo la democrazia ha fatto fatica a partorire una visione nuova al passo coi tempi e col sentimento dei cittadini. Un tentativo vi è stato negli anni 2000 col New Labour o Terza Via di Blair e Schröder ma nel migliore dei casi si è tradotto in un successo elettore che non è riuscito a imporsi come un modello duraturo e di pensiero.
Il filosofo spagnolo Josè Ortega spiegava le difficoltà della democrazia a continuare ad affermarsi come visione nel tempo in virtù della mancata evoluzione della percezione, da parte dei cittadini, di molti problemi che vengono erroneamente letti ancora con le lenti del secondo dopoguerra. Qui il prof. Morlino cita la questione della diseguaglianza che con l’intervento statale è stata fortemente ridotta rispetto agli anni ’30 e ’40 del secolo scorso ma che continua ad essere percepita dalla grande parte degli elettori delle democrazie occidentali come insoluta nella stessa misura di allora.
Da questo mismatch tra l’evoluzione della società e del paese e la percezione che gli elettori hanno di essi, nasce l’incapacità della democrazia di generare e proporre una visione che guadagni i cittadini alla propria causa.