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L’ “abbazia laica” fra passato, presente e futuro

30.05.2023

Laura Glorioso

Un evento, quello di oggi 20 maggio 2023, che ha rappresentato un’occasione unica di confronto intergenerazionale; a legare tutti i presenti un’ unica esperienza che ha segnato le loro vite: il percorso di crescita personale reso possibile dagli anni trascorsi in Collegio. E la concezione del Collegio come luogo in cui far fiorire la passione e la curiosità di giovani talentuosi non sarebbe potuta esistere senza un uomo visionario come Giovanni Cavina in grado di guidarlo nei suoi primi anni di vita e renderlo quello che oggi noi tutti conosciamo.

Traendo ispirazione da alcuni dei suoi editoriali raccolti nel libro “L’abbazia laica”  ad opera del gruppo “Saredosettantaquattro”, sei generazioni di alumni hanno condiviso le loro esperienze dando vita a un fertile confronto su temi di grande rilevanza.

Hanno aperto le danze Luca Giammanco e Giovanni Luca Palombella, attuali collegiali, che hanno ripreso le riflessioni di Cavina sul tema della cultura giovanile. Già negli anni ‘90, infatti, il direttore notava nelle giovani generazioni una scarsa sensibilità nei confronti dei problemi sociali. In un’epoca contraddistinta da grandi sconvolgimenti, i giovani, sentendosi impotenti, finivano per rinchiudersi in una dimensione emotiva contraddistinta da rabbia e paura di non riuscire a incidere come avrebbero voluto sulla realtà. La Residenza, in tal senso, rappresenta un’oasi unica nel suo genere in cui ai giovani viene data la fiducia necessaria per sentirsi parte attiva della società. Si tratta, però, di un’arma a doppio taglio in quanto si rischia di trovarsi a vivere in una realtà edulcorata ben lontana dagli ostacoli in agguato al di fuori del Collegio e in cui non sempre il merito, la competenza e la cultura sono valorizzati e considerati catalizzatori di una crescita in ambito professionale.

La discussione è proseguita con l’intervento di tre rappresentanti della decade 2011-2020 caratterizzata dall’ultimo cambio di direzione. L’intervento si è focalizzato sulla capacità del Collegio di formare giovani in grado di calarsi in maniera costruttiva e propositiva nella realtà sempre più in continuo cambiamento in cui si trovano a vivere. Fondamentali per acquisire tale mentalità sono gli strumenti forniti dai corsi di economia, vissuti a volte come un impegno in più negli anni di residenza, ma rivelatisi poi preziosi nell’affrontare il mondo del lavoro. Ci si è poi interrogati sulla prospettiva di un Collegio capace di fornire ai giovani competenze anche nel settore tecnologico, ormai sempre più preponderante in ambito lavorativo.

Hanno poi preso la parola Carla Giuliano e Sara Simone, rappresentanti della decade 2001-2010, con un discorso incentrato sul rapporto tra diritti, doveri e responsabilità. Emblematico in tal senso ancora una volta risulta essere l’esempio del collegio: ad ogni residente viene garantita la massima autonomia e la possibilità di autodeterminarsi ed è responsabilità del singolo poi, pena l’esclusione, soddisfare alla fine dell’anno accademico i requisiti richiesti per il rinnovo. Momento ricordato con nostalgia dalle due alumnae perché occasione di confronto con la direzione. L’immagine più bella emersa dal dibattito è però forse quella di un collegio come luogo in cui non solo accrescere la propria cultura e la propria conoscenza ma anche le proprie relazioni; un luogo in cui il talento che si possiede non solo può sbocciare ma, soprattutto, può essere messo a servizio della comunità. In fondo, possiamo dire che il collegio ha pienamente assolto al suo compito solo quando sentiremo davvero di avere “un divano ad attenderci in ogni città”. Non mancano, tuttavia, anche in questo caso le note dolenti che si incarnano questa volta nella temibile locuzione “fuga di cervelli”: il tratto distintivo di questa decade, infatti, è che la maggior parte dei collegiali che l’hanno vissuta ha poi trovato lavoro all’estero e non risiede ormai più da anni in Italia. Viene spontaneo chiedersi se questa sia stata per loro una scelta libera o piuttosto necessaria e la triste risposta è che nella maggior parte dei casi purtroppo si tratta di una via “obbligata” dovuta a un Paese che non valorizza adeguatamente i suoi giovani, sprecando in tal modo talento e risorse.

A far da sfondo all’intervento della decade 1991-2000, rappresentata da Giulio Sdei e Giovanni Cogliandro, è l’editoriale  “Fabbrica delle idee”. Si tratta di uno scritto unico nel suo genere perché costituisce un vero e proprio spartiacque: Cavina da lì a breve si sarebbe congedato dal suo ruolo di guida e mentore delle giovani menti della Residenza per lasciare il posto a Stefano Semplici. Nelle sue parole non si ravvisa tuttavia traccia alcuna di superbia o autocompiacimento; Cavina, da “despota illuminato ma con frequenti blackout”, come amava autodefinirsi, continua fino all’ultimo a fornire ai suoi lettori spunti di riflessione ed insegnamenti morali con l’umiltà che ha da sempre caratterizzato il suo operato. Si tratta della stessa umiltà che è possibile respirare in collegio dove ognuno, volente o nolente, ben presto si trova a fare i conti con l’amara lezione che per quanto si sappia fare bene qualcosa, ci sarà sempre qualcuno che la saprà fare meglio.

La discussione è entrata poi nel vivo con l’intervento di Michele Cicolella,  portavoce di quella generazione (1981-1990) che Cavina lo aveva conosciuto di persona e le cui testimonianze risultano pertanto fondamentali per comprendere a pieno l’uomo Cavina, gli ideali che muovevano il suo operato e la sua visione della Residenza. Uomo di pancia ma al contempo estremamente curioso e trasversale negli interessi, voleva che il suo fosse un luogo in cui, per connettersi in maniera profonda, bisognava in qualche maniera disconnettersi da un’ordinaria vita universitaria. La Residenza di Cavina si è infatti fin dai suoi albori contraddistinta per il suo ruolo di ascensore sociale senza mai però scadere nella mera struttura di soccorso (non è un caso d’altronde che il bisogno non è mai stato uno dei criteri selettivi del direttore per la nomina dei nuovi ammessi). Non si poteva non concludere l’intervento con un interrogativo-provocazione: il collegio ce la farà a preservare nel tempo gli ideali su cui si è da sempre fondato continuando, quindi, a svolgere il suo ruolo di incubatore di passioni e curiosità?

Rimane una sfida aperta il riuscire a essere interpreti e costruttori, nel nostro tempo, di una visione innovativa di Collegio, che lo tenga al passo di tempi così ricchi di cambiamenti e lo traghetti nel futuro, come ci sprona a fare “lo stile della casa” che rende i collegiali perfettamente riconoscibili anche al di fuori delle mura amiche del “Lamaro Pozzani”.

Infine non poteva mancare la testimonianza della prima decade di residenti che, nella persona di Luigi Fiaccola, raccontano di una residenza diversa da quella a cui tutti i presenti in sala erano abituati. La loro esperienza infatti ha avuto come cornice un’istituzione che stava proprio in quel momento muovendo i suoi primi passi e che poteva solo immaginare quello che sarebbe potuta diventare. Anche in questo clima di indeterminatezza, tuttavia, Cavina si è distinto per lungimiranza e spirito visionario: non ha perso occasione per stimolare e responsabilizzare tutte le giovani menti sotto la sua ala protettiva coinvolgendole in numerose attività e dando loro la massima fiducia senza tuttavia, al contempo, far mai mancare loro quella guida forte che ha da sempre caratterizzato i suoi anni da direttore.