La sera del 24 maggio, abbiamo avuto l’onore di ricevere nel nostro Collegio Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale sin dall’entrata in funzione di questa Autorità indipendente dello Stato Italiano il 1º febbraio 2016, già Presidente del Consiglio Europeo per la cooperazione penalistica e Presidente del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa.
Il giurista, ormai allo scadere del suo mandato non rinnovabile, ci ha esposto le sue considerazioni quanto alla tematica del valore del tempo che inevitabilmente perde chi è privato della propria libertà personale.
Sebbene le pene debbano “tendere alla rieducazione del condannato” (art. 27 Cost.), circa 1500 persone sono oggi in carcere per una pena (complessiva, non residua) inferiore ad un anno, e quasi altre 2800 persone stanno scontando pene detentive inferiori ai due anni. Quasi tutte queste persone, che non dispongono del tempo necessario per la propria rieducazione, spesso si trovano in carcere piuttosto che in altri luoghi in virtù delle loro condizioni economiche (ad esempio, molti di essi non possono avvalersi degli arresti domiciliari per mancanza di un domicilio) o del livello di istruzione. Dei circa 30 mila condannati attualmente in carcere, circa 850 sono analfabeti, altri 900 non hanno mai concluso la scuola elementare e quasi 6000 non hanno terminato la scuola dell’obbligo. Prima ancora di “intrattenere” i detenuti, come dice il presidente Palma, ci si dovrebbe preoccupare di “diminuire il gap” che comporta disparità nelle conoscenze, ma anche nella capacità e nella padronanza degli strumenti per affrontare i processi penali al meglio e dunque nei loro esiti.
Questo tempo dei detenuti è quindi stato visto come tempo perduto, sprecato, reso vacuo da una ciclicità nelle azioni che si contrappone alla “tangente” del tempo al di fuori del carcere, che ogni giorno si allontana di più.
Richiamando poi all’attenzione di noi Collegiali la presenza di 1400 studenti universitari in carcere, il garante ha sottolineato come, mentre negli anni passati la grande differenza fosse l’alfabetizzazione delle persone, ad oggi il vero problema è la capacità di gerarchizzazione delle informazioni che si ricevono, la cui assenza rende il senso comune subalterno a informazioni non del tutto affidabili, dunque cambiando radicalmente i valori personali, il modo di pensare e di agire.
Preoccupandosi infine del tema dell’integrità psichica e fisica dei detenuti, garantita de iure, tra gli altri, dall’art. 27 Cost. e dagli artt. 2, 3, 4 comma 1 e 7 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, il garante ha evidenziato come talvolta sia per “violenza reattiva”, perché si crede soggettivamente che il detenuto meriti una pena aggiuntiva oltre all’incarcerazione, sia per omertà del “turno successivo” che dovrebbe invece denunciare le eventuali violenze commesse contro i detenuti da parte della polizia penitenziaria, si tenda a ricadere in spiacevoli situazioni che avvicinano spaventosamente chi dovrebbe tutelare l’integrità stessa dei detenuti al peggior esempio di colpevole.